I mastri cartai

Scorro in velocità il lavoro impressionante della macchina continua in piano, lunga 43 metri e mezzo; una sbirciata al quadro sinottico che regola i valori della carta prodotta: grammatura, umidità, spessore, opacità. Appena uno sguardo alla macchina continua ”in tondo”, con il geniale ”creatore” per la fabbricazione delle carte filigranate da avvalorare, titoli e banconote. Cerco l’artigiano nella grande cartiera di Fabriano. L’uomo che adopera le mani per creare il foglio.

Cerco il “faber”. E lo trovo, anzi, li trovo: lavorente e ponitore. L’uno pesca nel gran tino la poltiglia acquosa della passata, immergendo la “forma” con gesto rapido e sicuro e sollevandola poi per scaricare la parte d’acqua.

Sorprendente il tocco manuale per omogeneizzare la massa biancastra. Questione di attimi. Le particelle di fibra vegetale hanno ormai subito il processo di “filtrazione”, si sono unite, sono foglio di carta. Il lavorente passa la forma al ponitore che adagia il foglio umidiccio sul feltro dell’asciugatura. Nella ripetitività dei gesti, nella calibratura del movimento e nell’occhio che pesa e valuta, c’è tutto il mestiere che conta oltre 700 anni.

Furono i cinesi, si dice, a inventare la carta. In una pagina del Milione anche Marco Polo annovera la meraviglia. L’arte della fabbricazione venne perfezionata poi dagli arabi sulla spinta dell’Islam verso oriente. Samarcanda, sulle rotte della seta, era il più importante centro mercantile dell’epoca e punto di incontro delle più evolute civiltà. Gli arabi portarono i segreti della fabbricazione in tutto il bacino del mediterraneo.

E Fabriano?

C’è chi racconta dei cavalieri del TAU, affiliati ai templari, reduci dalle crociate o dei prigionieri maomettani che la sapevano lunga sulla lavorazione della carta bambagina, inviati nell’alta valle dell’Esino dal porto di Ancona. Fatto sta che Fabriano diventa il più importante centro europeo nella fabbricazione di materiale cartaceo anche per le radicali innovazioni che apportarono i mastri cartai nella seconda metà del 1200, come le pile idrauliche a magli multipli per la battitura degli stracci e l’uso della collatura con le gelatine di origine animale.

Materiale prelevato dagli scarti delle concerie e lavorato nelle “gualchiere” dei lanaioli. Straordinario intreccio di cooperazione artigiana.

E siamo nel medioevo.

Massimiliano Montesi (da un testo di Terenzio Montesi per la pubblicazione “Marche: l’Italia che fa”)



Massimiliano Montesi
massimilianomontesi@yahoo.it
No Comments

Post A Comment

Top