Due cuori e un castello

Gradara, l’oracolo dell’amore.

Gradara, castello dell’amore. Non solo 700 anni fa, ma oggi.

Si sente l’eco delle parole amorose sui prati dove affondano le mura e la luna piena diventa complice dei sentimenti:

Di-moi, mon coeur,/oh!, dis moi,/ que dois-je faire/pour retrouver l’amour?/Va a chatheau de Gradara/ et la nuit, au clair del la lune,/ cueilles-y una fleur,/ et offre-la à l’etre cher./ Tu t’ apercevras qu’elle portera bon heur!

Versi in paccottiglia francese? Ma no. Semmai una zuccherosa filastrocca delle sedicenni di cinquant’anni fa. Oggi ci sono altri oracoli e con più convincenti strumenti per ottenere risposte. Gradara, rimessa a nuovo ogni anno, attende i devoti di Francesca che, appena varcata la Porta dell’Orologio, per un impensato risveglio di memoria, si mettono a salmodiare i versi del quinto canto dell’Inferno dantesco.

Amor, che al cor gentil ratto s’apprende…

Per almeno due secoli la storia di Gradara s’identifica con quella dei Malatesta che hanno visto la collina, già dotata di fortificazioni, come importante arnese di difesa con la dotazione di mura e torri.

Strumento potente a presidio del confine tra Marca e Romagna.

Gradara parla di sé: “… se c’è lungo i lidi d’Italia una rocca da celebrare, nessuna ha più doti di me. Se ricerchi la posizione, io son vicina al mare; se l’imponenza, mi levo su un colle superbo; se la bellezza, potresti giurare che nulla si trova, in alcun luogo, di più elegante; se la forza, che non vi è nulla di più sicuro, tanto che si può credere che con le mie fortificazioni avrei potuto tenere lontani gli assalti dei giganti”.

Questo il panegirico tessuto nel ‘400 dall’umanista Maffeo Legio che era di Lodi.

I Malatesta adocchiano Gradara attorno al 1260. Nel 1299, con la bolla di Bonifacio VIII, il castello di Gradara e le terre d’attorno vengono assegnati a Malatesta da Verucchio, il famoso Mastin Vecchio, detto il centenario, che ebbe quattro figli: Giovanni, detto Gianciotto, Paolo, il bello del Casato, Malatestino dell’Occhio e Pandolfo I.

Nel 1275 Giovanni, Ciotto, brutto e sciancato (ma potrebbe essere un alibi per il fattaccio), sposa Francesca da Polenta, figlia di Guido Minore, signore di Rimini.

Nominato Podestà a Pesaro, Giovanni lascia a Gradara la moglie e la figlioletta Concordia. Le frequenti visite di Paolo il bello alla cognata insospettiscono tutti, specie i familiari.

Giovanni, astuto, annusa la tresca e simula la partenza, come di consueto, per Pesaro.

E si apposta in agguato.

Tormento e ira, amore e morte.

E quando scopre l’inganno del bacio rubato, si avventa con la lama affilata sul cuore del fratello. Francesca gli si para davanti e viene trafitta. Paolo, che aveva pronta la via della fuga, una botola ai margini della stanza, viene tradito da un chiodo sporgente ai bordi in cui s’impiglia il lembo della veste.

Dante Alighieri ne scrisse la cronaca nella Commedia, al canto V, con commozione e pianto, ma colloca nell’inferno i due “peccatori”. Il Poeta era salito a Focara, verso Fiorenzuola che domina il mare sulla collina di fronte a Gradara, nei suoi viaggi da esule.

La storia lo seguirà fino a Ravenna dove, accolto da Guido Novello da Polenta, padre di Francesca, morirà nel 1321.

Nel castello si può vedere la camera della tragedia, in un allestimento che sa di teatro di posa ma verosimilmente vicino alla realtà storica.

Un letto di legno scuro, protetto da cortine damascate appese all’alto telaio, sedie e poltrone, il baule, la panca, la grande finestra, il piancito in cotto, il leggio di ferro con la Historia di Lancillotto del Lago, i candelabri, la botola con chiodo.

Noi leggevamo un giorno per diletto/ di Lancillotto, come amor lo strinse:/ soli eravamo e senza alcun sospetto./ Quando leggemmo il desiato riso/ essere baciato da cotanto amante,/ questi, che mai da me non fia diviso,/ la bocca mi baciò tutto tremante….

Maledictus homo qui confidit in nomine” fece scolpire più tardi Malatesta dei Sonetti, ma la sentenza deve essere stata pensata da GiovanniGianciottoCiotto che morì nel 1304. Gli successe il fratello Pandolfo I che lascia, dopo aver completato la costruzione, la Rocca a Malatesta II, detto, non a caso, “Guasta famiglia”. Gradara, “bene allodiale”, cioè proprietà per successione e non per investitura, ha seguito la storia della famiglia egemone, con frequenti sconfinamenti nel mondo della fantasia. Qualche anno fa si presentarono a Gradara alcuni signori che abitano a Roma per rivedere la città degli avi.

Gli ultimi Malatesta. Tornarono nella capitale, dopo pranzi, ricevimenti e cene, senza rivendicazioni e pretese.

Gradara, oggi, non è soltanto memoria, ma interprete della propria singolare vicenda, convinta e convincente, con una serie di manifestazioni, con inviti museali, con una rivisitazione della cucina tradizionale in equilibrio tra i ricettari romagnoli e marchigiani.

La visita alla città è quanto di più suggestivo si possa toccare, a cominciare dal mastio che segna la quota più alta del colle. Le torri angolari. La cinta in laterizio che con il camminamento di ronda stringe l’abitato. La doppia cinta di mura con la Chiesa di San Giovanni. Nella torre-campanile di quella del sacramento si mimetizza la pusterla, porticina segreta per le emergenze. Unico accesso al borgo la porta dell’orologio, con ponte levatoio e saracinesca. I Malatesta di Rimini, gli Sforza di Milano e i pesaresi hanno costruito, ampliato, fortificato.

Ma nonostante la bellezza del territorio, l’unicità della struttura e il forte richiamo alla storia, Gradara ha avuto la condanna della dimenticanza e quindi una lunga decadenza. Solo nella seconda decade del ‘900 la rocca e le mura hanno ripreso la loro identità strutturale, fino al pieno godimento turistico delle ultime stagioni.

Così mi ha “stornellato” un venditore di baci:

Fiore di bergamotto/ passato è ogni terrore e ogni pena,/ scomparsa è ormai l’ombra di Gianciotto”/ “Fiore di limoncello/ sotto gli spalti, cauto, a mezzanotte,/si può veder passare Paolo il Bello”.

Massimiliano Montesi (da un testo di Terenzio Montesi per la rivista “Buongusto” – luglio 2004)



Massimiliano Montesi
massimilianomontesi@yahoo.it
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