L’orafo

Già nel 1200 Jesi vantava una fiorente colonia di orafi tra cui spiccava la figura di Mastro Bisaccione. Ma anche Ascoli, Fano, Osimo e Macerata contavano decine di botteghe in cui veniva domato il nobile oro.

La moglie di Francesco Sforza, Anna Maria, avida di ricchezze e ammaliata da collane e anelli, commissionò, senza ritegno, agli orafi jesini uno sfarzoso tesoro da esibire a corte.

Ma i preziosi artigiani jesini raggiunsero meritata fama in tutta Europa in pieno ‘500, attribuendo a Jesi il primato, su tutte le città delle Marche, nella produzione e nella commercializzazione di lavori d’altissima oreficeria. Lo splendore di oltre 20 botteghe invitava dame, principi e cardinali di Roma e di Venezia, di Parigi e Madrid.

Orafo jesino è Lucagnolo di Ciccolino, prima maestro e poi rivale di Benvenuto Cellini.

Molto vivace l’attività degli orafi di Sant’Angelo in Vado, specie nel ducato di Urbino e a Roma, espertissimi nella tecnica della granulazione, detta all’etrusca, attivi fino all’800.

Oggi? Molti giovani si sono affermati di recente con prodotti di altissima qualità artistica.

Testimoni di una tecnica raffinata e di una padronanza culturale ritrovata dopo molti decenni di incerta pratica artigiana. Escono dalle scuole d’arte di Ancona, Macerata, Pesaro e Fano i contemporanei maestri dell’oro.

La regione, grazie alle loro affermazioni, ha ripreso la tradizione di dare al mondo lezioni di grande prestigio.

Massimiliano Montesi (da un testo di Terenzio Montesi per la pubblicazione “Marche: l’Italia che fa”)



Massimiliano Montesi
massimilianomontesi@yahoo.it
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