20 Apr Mapuche, il popolo della terra
Quando eravamo ragazzi, noi che abbiamo una certa età, non avevamo cellulari, playstation, social networks o altri “aggeggi” digitali. Sarebbe poco intelligente e superficiale demonizzarli e forse, ai tempi del coronavirus, ne stiamo scoprendo la vera utilità, anzi la loro necessità, ma questa è un’altra storia. Che spero ci insegni qualcosa. A buon intenditor….
Si scendeva in strada, nei parchi e parchetti sotto casa a giocare a nascondino, a pallone, a campana, mentre, fuori dalla città, si andava al fiume o a rubare innocentemente delle ciliegie.
Ma, soprattutto noi maschietti, si giocava a “indiani e cow boy”. I contraltari di Custer o Buffalo Bill erano Toro Seduto e Geronimo, senza sapere il vero significato, emulando films e fumetti.
I cosiddetti “indiani”, ma il nome ce lo siamo inventato noi “bianchi”, sbagliando pure, erano quelli dell’America di sopra e, se andava bene, a parte i più famosi Inca o Maya spariti in un soffio, di quelli di sotto non se ne parlava mai. Strana la vita: mentre lì imperversava il genocidio, qui da noi si parlava di Umanesimo e Rinascimento. Solo una questione di tempo e spazio nel beffardo caleidoscopio della storia.
Come gli altri, preso ad attendere gli appuntamenti della vita occidentale, non ci riflettevo più di tanto, con il solito vago dispiacere, pensando che, “se ci fossi stato io”, “magari avrei potuto fare qualcosa”. Ormai è andata, visto che in America adesso ci sono e ci sono stati i Trump, i Bush e le crudeli repubbliche delle banane.
Un programma RAI mi ha fatto esplodere il cuore, adesso, e se questo foglio digitale fosse di carta sarebbe rigato, ma non della pioggia di aprile. La puntata è quella di Report del 13 aprile 2020.
Potete rivederla, dunque non ripeterò pedissequamente ciò che hanno detto loro ma, contribuendo a questo blog, il blog di ARCA, che mette al centro la terra e la rigenerazione del suolo e dell’uomo, ho avuto una folgorazione e ho deciso di scrivere. Articolo, questo, inutile per vendere qualsiasi cosa, sia essa un’idea o un prodotto, ma utile per la mia anima e spero anche per la vostra.
Ho scoperto, dramma a me ignoto nei dettagli, ma sono sicuro di essere in buona compagnia, i Mapuche, che letteralmente significa “popolo della terra”. C’è una donna, nel servizio, una grande donna, che dice: “voi occidentali ritenete sacra la proprietà, noi la vita e la terra. Per voi una risorsa da sfruttare. Per noi qualcosa di identitario e spirituale”.
Colpito al cuore, una nuova consapevolezza esplode dentro di me.
Sapete, quelle cose invisibili sotto gli occhi di tutti. La storia dei Mapuche, popolo ancestrale originario di quella parte di mondo che qualcuno ha chiamato Cile, potete scoprirla da soli, basta digitare su Google.
Per gli indiani “maggiori” dell’America non c’è più nulla da fare e anche per i Mapuche è successo: oggi non hanno più una casa.
Però capita in questo istante. Uccisi, cacciati, perseguitati, ghettizzati, “alcoolizzati”, derubati dell’anima e della terra per ipocrisia, politica, soldi, interessi e Dio, sceglietene voi uno qualsiasi, ma opterei per quello dei Mapuche, solo sa cos’altro.
Penso a quelli che oggi, fortunatamente pochi ma sintomatici, si lamentano di non poter uscire di casa, di non poter andare in bicicletta, di non poter andare a fare jogging o a cena fuori, di non poter vivere con ingordigia un benessere costruito sulle spalle di altri, nonostante il momento di responsabilità che siamo chiamati a soddisfare e che ci tocca da vicino.
Senza pensare a chi sta morendo per noi negli ospedali, alle nostre guerre passate e alle privazioni dei nostri nonni e bisnonni o alle vere sofferenze umane che non sono finite, come ci piace pensare a volte, perché sono solo migrate da un’altra parte, in un mondo che diventa sempre più piccolo.
D’altronde la lista è infinita e non la faccio.
Perché la conoscete e perché mi sovviene il pianto.
Massimiliano Montesi
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