Dove vola il picchio

Piticchio, un paese tra vicoli e racconti.

Somigliano tutti i paesi di collina delle Marche: mura di sostegno e di difesa, dentro le case con un campanile al centro, qualche volta due, con l’orologio oppure no, con una meridiana oppure no, tanto il tempo vola lo stesso per tutti. Raccontare le loro storie sarebbe stimolante per il gusto della ricerca di una patria lontana, ma ancor più per assaporare sapori di vita che credevamo scomparsi.

In questa pagina vorremmo raccontare, molto in breve, passato e presente di piccoli centri che non hanno nemmeno l’autonomia comunale, quindi un Sindaco in comproprietà, scomparso l’asilo d’infanzia (i bambini non ci sono più), scolari e studenti, pochi, vanno in pulmino nella scuola del comprensorio.

Nelle Marche questi piccoli paesi sono centinaia, con vicende uniche e personaggi che ne hanno glorificato la peculiarità. Mi vengono in mente, una ad una, le frazioni del Comune di Arcevia, l’antica Rocca Contrada, che tutto domina, austera e forte, a 535 metri sul mare.

Un territorio molto vasto con una ventina di frazioni, ognuna con la singolarità di un evento: Avacelli, Palazzo, Nidastore (nido dell’astore che non era un falconiere di basso volo, ma il signorotto arrogante che tutto voleva prendere), Ripalta, Magnadorsa, Montale, Caudino, Montefortino, Castiglioni e via dicendo.

Sosta d’obbligo a Piticchio, vivace e rasserenante. Mi rincorre la rima del Poeta:

Sulla collina dove vola il picchio
Alza l’arma il castello di Piticchio

Duellano ancora gli studiosi sul nome. Piticchio.

Ma è meglio svicolare… tra i vicoli del castello e raccogliere le voci dei cento racconti che, lasciando il privato, riconducono alle lotte per l’indipendenza, o meglio per l’autonomia, a scansare gabelle e i tanti obblighi della sudditanza.

Dopo l’assaggio giacobino di fine settecento, Piticchio (c’è chi dice “Il Piticchio”, divagazione piacevole) si è sempre rassegnato, specie in tempi di marcata restaurazione, trovando un modo di vivere e di comportarsi che non segnasse traumi dolorosi.

In questa ottica nacque la “Società Tersicore Piticchiana” in cui, dal 1890, si sono ritrovati gaudenti e benpensanti, uomini e donne, purché di “buona condotta”, ospitati in una sede, fabbricata apposta, per l’esercizio del canto e della danza.

Spente le luci della “Tersicore”, siamo nel 1985, inizia il ballo e l’Associazione “Amici di Piticchio” esplode a metà novembre con la festa di San Martino, quando la nebbia agli irti colli si dissolse nelle cucine, negli spazi folklorici, tra fiumi di verdicchio e conseguenti sbornie solenni. I Guadagni della tre giorni vengono spesi per abbellire il paese e per promuoverne l’immagine: è stata restaurata la torre civica, montato l’orologio nuovo in ceramica, murate le targhe viarie in cotto, costruite fioriere, restaurata la fontana, realizzato il giardino pubblico e…quando avanza qualcosa c’è la gioia delle beneficenza. Piticchio. Piticchio. E paghi pure le tasse!

Nonostante questo nessuno dice che è un paese eccezionale, perché ha il niente e…il tutto. Ha la normalità della buona condotta, che contrasta il negativo del progresso ripescando il valore della propria storia. Ecco perché il forestiero si sente a casa. Riesce a misurare la civiltà del vivere, con l’aria, col paesaggio.

Al Piticchio, varcata l’antica porta del castello, ognuno acquista cittadinanza.

Massimiliano Montesi (da un testo di Terenzio Montesi per la Rivista “Buongusto” – aprile 2004)



Massimiliano Montesi
massimilianomontesi@yahoo.it
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