Marche, suolo biodiverso

La nostra regione, le Marche, è stata dipinta da poeti e scrittori come sintesi di armonia e d’Italia, in termini caratteriali, culturali, morfologici, geografici. Al contempo però capace di endemismi. Non comune, non schematica, capace di stupire. Un po’ ribelle, ma silente anche in questo. Quasi un paradosso.

Qui è nato il sommo Raffaello, il rivale delle Natura, come si legge nel suo epitaffio.

Ma è stata forgiata anche dai nostri contadini, dai nostri mezzadri e padroni, dai nostri ordini religiosi.

Lo si vede nelle valli a pettine che digradano verso un mare bellissimo, nei diversi microclimi a pochi chilometri di distanza, eppure confini di odori e sapori; la gente, i canti, i dialetti, i prodotti tipici, usi e costumanze.

Lo si vede anche nell’arte del dipingere la terra con le coltivazioni.

Non solo per senso estetico, perché il bello ci piace, ma per necessità. Ci siamo dovuti adattare ad una Natura che sì non regala, ma neanche ci abbandona, se ci fatichi sopra.

Quando in 1 ora si scorre dalla montagna alle riviere, passando per la pedemontana, l’alta e la dolce collina, la pianura, si attraversa tutto il campionario che Essa ha creato qui.

Terra di confine tra sotto e sopra, tra imperi e tribù: la terra picena come la chiamavano i romani.

Poco più su, al Rubicone, confine allargato, Cesare cambiò la storia del mondo.

Marche oggi ormai scoperte. Non più isolate.

Tedeschi, olandesi, inglesi, svizzeri e americani che acquistano case coloniche (quasi tutte ormai!), social media che portano traffico, le fattorie didattiche, gli agriturismi, i prodotti di mare e di terra, i vini: ormai non sono più un segreto. Prima ci si piangeva sopra, oggi non si può più, ma dobbiamo migliorare la cultura dell’accoglienza, la mentalità, oltre che le infrastrutture.

Certo le Marche non saranno mai un mercato di massa. Togliamocelo dalla testa.

Però adesso possiamo giocare le nostre carte, come tutti gli altri.

Però le Marche stanno scivolando via. Una delle regioni d’Italia a più alto rischio di erosione.

Si, il nostro suolo se ne sta andando e lo farà nel giro di poco se parliamo dei tempi della Natura.

Noi marchigiani in primis dobbiamo impegnarci di più su di una politica che metta al centro il rispetto del suolo con attenzione, con l’obiettivo di rigenerarlo, tutelando anche noi stessi.

Dobbiamo cambiare quei modelli di agricoltura e di scelta dei cibi, che tanto possono fare, poco attenti al territorio e che, soprattutto in collina, hanno provocato, in certi casi, danni irreparabili; lavorando tutti insieme, Consumatori, Agricoltori e Istituzioni, come attori principali del cambiamento.

Dobbiamo agire affinché ognuno contribuisca responsabilmente e coscienziosamente e il percorso verso la sostenibilità e il benessere socio-ambientale non rimanga astratto o ideale, ma divenga concreto ed effettivamente praticabile.

Parole di preoccupazione, ma anche di speranza.

E allora sdrammatizziamo, per dimostrarvi che il nostro suolo può stupirci anche in altro modo.

Sapevate che nei pressi di San Paolo di Jesi presso le contrade Fonte e Battinebbia erano ben visibili i cosiddetti vulcanelli di fango?

Ce n’era qualcuno anche nella valle del fosso di San Giovanni, affluente dell’Esino, e in contrada Calapina nel comprensorio di Monteroberto.

Studiati e classificati dai Professori Marinelli e Bonasera come bagni, salse, bollitori, tribui, ma, per tutti, i vulcanelli di San Paolo.

Essi sono una manifestazione di vulcanesimo secondario di cui esistono pochissimi esempi in tutta Europa.

Un fenomeno definito anche vulcanesimo sedimentario, rientrando nelle dinamiche petrolifere superficiali a carattere gassoso. Lo scenario è di tipo lunare con i colori che vanno da bianco al grigio chiaro.

Attraverso le fratture del terreno fuoriescono i gas come metano, anidride carbonica, azoto, ossigeno, argon, ossido di carbonio, elio. Oltre ad acqua e fango, in movimento, per una profondità anche di un paio di metri. Un piccolo pezzo di preistoria.

Tra il 1984 e il 2000 sono quasi scomparsi, ma oggi vi sono ancora delle piccole manifestazioni che ne denotano l’antica attività.

L’azione antropica ha dato il colpo di grazia nel tempo. Pensate che in prossimità di alcuni di essi un trattore stava per essere inghiottito e pertanto qualcuno decise di cementificarli.

Inutile dire che “quei maledetti” continuavano a spuntare fuori.

Beh, che ne dite, incredibile no?

Massimiliano Montesi (fonte in merito al fenomeno dei vulcanelli: pubblicazione “Vallesina misteriosa”)



Massimiliano Montesi
massimilianomontesi@yahoo.it
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