L’uomo artigiano delle Marche

Questo viaggio dentro le Marche segrete, alla ricerca e alla riscoperta dell’uomo artigiano, si presenta, agli amici lettori, senza la pretesa dell’indagine scientifica o il rigore statistico dell’inchiesta.

Quasi un racconto; ma senza indulgenze alla favolistica, né si vuole tessere un inutile elogio all’artigianato, che non ha certo bisogno di belle parole; è invece importante inquadrare questa figura (…)

(…) Sbaglia chi considera l’artigianato momento storico sorpassato della nostra storia e della nostra cultura, quasi un ripensamento folkloristico.

Viviamo nel terzo millennio, ma non esiste contrapposizione tra la bottega e l’industria; l’artigianato invece è più fiorente là dove c’è concentrazione industriale, perché i beni irripetibili e unici della produzione manuale trovano subito collocazione nel mercato.

Ben vengano le macchine che “aiutano” l’uomo nella fatica e nel miglioramento qualitativo del prodotto di bottega.

Da abbattere invece i concetti oscurantisti e superate convinzioni sulla inferiorità del lavoro manuale, sulla sua scarsa redditività, sulla diminuzione del prestigio.

Può essere affidata alla figura dell’artigiano la rivitalizzazione dei centri minori, decaduti per mancanza di forze operative, emigrate in cerca di un’affermazione professionale verso la costa o la grande città, condannando all’abbandono la casa, il paese e spesso anche i parenti più stretti.

L’artigianato è invece forza di aggregazione, di riequilibrio della socialità compromessa, specie nei piccoli centri della fascia collinare e del territorio pedemontano.

La riaffermazione della espressione artigiana recupererà anche le incertezze della disorientata cultura che mortifica il nostro paese: sarà una civilissima svolta, perché l’uomo artigiano di domani, con un sostanzioso bagaglio di istruzione, avrà una più aperta presenza dialettica nel contesto sociale in cui opera e non apparirà in vesti subalterne di fronte a nessun altro soggetto inserito nel lavoro di fabbrica o di ufficio; per di più avrà realizzato il concetto di lavoro nella libertà creativa, nella armonizzazione delle esigenze psicofisiche. La mano è guidata dal cervello, dall’istinto, verso il bello compiuto.

La sua presenza lavorativa, nei dimenticati siti della memoria collettiva, ridesta, a catena, nuovi interessi nei piccoli e grandi agglomerati, che possono tornare a vivere nel sonoro mondo artigiano.

Non è poco per il nostro paese e per la nostra regione che hanno avuto per eredità della storia il senso dell’arte, dell’armonia e della creatività.

L’impiegato, l’operaio, il professionista, compressi dalle nevrosi dell’automazione, del calcolatore onnipresente, della ripetitività dei gesti, ricercano, come terapia antistress, uno spazio per il fai da te, per il bricolage, l’hobby, e, riacquistando la perduta manualità, ricercano l’ingegno nella non sopprimibile esigenza di fare.

D’altra parte i moderni orientamenti pedagogici invitano il bambino scolaro a prendere coscienza delle cose con libertà di tagliare, incollare, modellare, smontare.

E’ il giusto approccio con la conoscenza. L’uomo, fin dai primi anni di vita, stabilisce il contatto col mondo esterno attraverso l’affermazione della propria autonomia. L’individualismo si traduce e si spiega quando, nella piena coscienza delle proprie capacità, riversa tutte le sue potenzialità a beneficio di sé e degli altri.

Le modificazioni sociali hanno radicalmente scardinato il tessuto comportamentale che per secoli ha tracciato il disegno dell’esistenza di uomini e cose.

Anche se il forte esodo dalle campagne ha ridotto drasticamente la richiesta del prodotto artigiano, si deve riconoscere che nelle Marche il lavoro autonomo della bottega non ha subito arresti definitivi. Questo per il carattere stesso del marchigiano, individualista, indipendente, ingegnoso.

Basta guardare le colline della regione che ondulano tra valli segnate dai fiumi che scendono a pettine dal dorso appenninico al mare. Le geometrie dei filari, le querce a confine, i campi disegnati dai colori, nell’alternanza delle colture, l’orto e il frutteto, la casa polifunzionale al centro, con l’aia mattonata sul davanti. E’ l’ingegno che muove le amorose cure per la terra. Ecco il contadino artefice che manovra, in libertà, la gestione del microcosmo della ruralità.

Ed è il contadino artefice che chiede all’artigiano dentro le mura gli attrezzi per lavorare, le scarpe, il vestito. Il contadino stabilisce i cottimi per le forniture ed attinge, dal custodito “magazzino”, l’olio, il vino, il grano, i legumi, la legna. Si stabiliscono così i ruoli nel contesto della società: l’artigiano rappresenta la classe intermedia tra la classe dei nobili ed il proletariato urbano. Ed era tanto importante ogni singola “arte” che, almeno in tempi lontani, poteva aspirare a statuti propri e spesso edificare una chiesa al Santo Patrono, manifestando così anche un sorprendente senso cooperativistico all’interno dell’associazione.

Le corporazioni artigiane hanno avuto anche funzioni consultive nella gestione degli affari pubblici. Questa presenza operativa, nella società dei secoli passati, ha lasciato quell’impronta democratica che, maturando nel tempo, ci ha consegnato il modello più avanzato di emancipazione.

Le autonome botteghe artigianali, operanti nelle Marche fino alla fine del ‘700, avvertono lentamente la trasformazione nei processi di produzione con la nascita delle prime industrie. La macchina trasforma l’artigiano in operaio; e, se viene garantita la stabilità del lavoro, vengono imposti metodi e turni alienanti. Il lavoratore perde la libertà e, con essa, quel prezioso io creativo che aveva permesso la straordinaria fioritura di opere e di ingegni le cui tracce sono ancor oggi visibili nei degradati centri storici dei cento e cento paesi della regione.

Il primo tentativo di qualificazione dell’artigianato risale al 1878 con la legge Casati che istituiva le scuole professionali: l’applicazione della legge trova riscontro a Cagli, due anni dopo, nel 1880. Nasceva la scuola serale d’arte e mestieri finalizzata, per lo più, all’uso ed alla lavorazione di una risorsa locale, la pietra estratta dal monte Nerone. Nell’ultimo scorcio dell’800 e fino alla fine degli anni ’30 del ‘900, sono sorte un po’ dovunque le scuole di avviamento al mestiere, anche se l’apprendistato avveniva nella bottega di paese, dove, talvolta, l’apprendista doveva pagare l’insegnamento del “maestro”.

La legge numero 1533, del 1956, articolava il settore artigiano in 22 categorie e 309 mestieri. Questa ricca proposta va meditata da quanti tentano di programmare il proprio avvenire, cercando di individuare l’arte cui dedicare le attenzioni per impostare il futuro. Nel settore artigiano non esiste disoccupazione. Un invito a diventare piccoli imprenditori senza affannarsi per anni dietro i pubblici concorsi, tanto affollati, tanto, alla fine, poco remunerativi.

Una regione così ricca di fermenti creativi non dovrebbe fornire incanti per il “posto”. E’ vero, occorrono coraggio, spirito d’iniziativa, incoraggiamenti, consigli e aiuti. Ma prima di tutto occorre cambiare mentalità, credere ai mutamenti della società e prevenire le richieste del mercato. Tenendo presenti la cultura e la tipicità della tradizione; tanto da interpretare quel fuggente momento di innesco di microimprenditorialità anche per colmare i vuoti in aree dimenticate e quindi da recuperare.

I miti delle grandi industrie e delle cattedrali nel deserto si stanno sfaldando. In Inghilterra dicono, da qualche anno, “small is beautiful”, piccolo è bello, che sta anche per piccolo è gratificante, pagante. Riconsiderare l’artigianato per un suo rilancio non è segno di riflusso, ma un convinto atteggiamento di chi, intelligentemente, guarda lontano.

La nuova Europa è già nata. Chi saranno gli artigiani europei? Spiriti singolari, i marchigiani, esteti per discendenza storica, lavoratori appassionati, indipendenti ma non isolati, potranno essere i primi. Allora, sotto. Apro bottega anch’io. L’artigiano, oggi. Lasciatelo lavorare in pace. Ma non fatelo sentire solo. Padrone di se stesso, del proprio tempo e della propria vita; ma per la crescita dei suoi interessi e di quelli del contesto territoriale in cui opera, ha bisogno di assistenza, di aiuti anche economici. L’artigianato di oggi necessita di un costante collegamento con gli organi di consulenza tecnico professionale, di aggiornamento sugli orientamenti di mercato, dell’informazione, per essere meglio e più conosciuto. Ha bisogno di maggiori assicurazioni previdenziali ed assicurative, di più attente considerazioni da parte dell’ente pubblico. Una scommessa con il domani queste pagine, che intendono fare da ponte tra l’archeologia dell’imprenditoria marchigiana e le richieste di un futuro che sta maturando nell’impensato sconvolgimento del vecchio continente (…)

(…) Volevo iniziare questa nota con un …”c’era una volta“. Ci chiudo. Il più antico manufatto rinvenuto in terra marchigiana risale a centomila anni fa. Un piccolo utensile di pietra dura, una amigdala, con la forma di una mandorla allungata. E’ stato trovato sulla vetta del monte Conero, in comune di Sirolo, nel 1963. L’opera sopravvive alla memoria.

Massimiliano Montesi (dalla prefazione di Terenzio Montesi alla pubblicazione “Marche: l’Italia che fa”)



Massimiliano Montesi
massimilianomontesi@yahoo.it
1 Comment
  • Vincenza Di Maio
    Posted at 12:02h, 16 June Reply

    Senza artigianato infatti non ci può essere un’identità culturale. Saremmo tutti uguali …

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