07 Set Le Coronare di Loreto
Legato alla devozione e alla pietà popolare, il mestiere di confezionare le corone del Rosario è prerogativa delle donne della città mariana che ruotano, con i loro traballanti carretti, attorno al celebre Santuario.
Chi è stato a Loreto sa quanto siano insistenti gli inviti a comprare questi scampoli di matriarcato artigianale che infilano, sveltissimi, nei fili di metallo, i grani delle più svariate forme, consistenze e materiali.
Un mestiere antico, sviluppatosi fin dal 1400, con il crescendo dell’affluenza di pellegrini. La municipalità di Recanati, sotto la cui giurisdizione cadeva il Santuario, concedeva la licenza di aprir bottega solo ai residenti in città da almeno 5 anni e con la dichiarazione del possesso di immobili per un valore di 50 ducati.
Il prodotto lauretano rappresenta l’80% delle corone fabbricate in Italia e si stenta a soddisfare una insospettata crescita della richiesta. Il Rosario, come certi canti popolari, presenta curiose varianti a seconda della devozione del fedele e della provenienza geografica dei richiedenti.
Si producono così trenta tipi di Rosari (oggi c’è anche quello elettronico ndr) secondo i celesti destinatari: S.Rita, S.Antonio, Sacro Cuore, la Madonna di Pompei, la Madonna dei sette dolori e così via.
Rosari bellissimi e preziosi erano custoditi nel tesoro della Santa Casa prima della depredazione napoleonica e delle visite di ladri con poca devozione e senza scrupoli.
Sono fioriti, anche di recente, attrezzati laboratori per il confezionamento delle corone, guardando all’Europa dell’est come nuovo sbocco di mercato. Si pensa ad una straordinaria richiesta, con gli arretrati di una pratica religiosa da recuperare alla svelta.
Anche nel comparto delle corone bisogna conquistare subito le quote di mercato in Polonia, in Russia, in Ungheria.
A Loreto dicono che anche gli scintoisti nipponici invitano, con allettanti proposte, alla recita di “Pater, Ave e Gloria”.
Massimiliano Montesi (da un testo di Terenzio Montesi per la pubblicazione “Marche: l’Italia che fa”)
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