Profilo di un territorio tra il Metauro e il Cesano

Ha la forma di una foglia, quella porzione di territorio che si ritaglia fra Cesano e Metauro, in provincia di Pesaro. O anche di un grappolo d’uva, all’apparenza, i cui acini sono i cerchi ingranditi dei borghi e delle piccole città così ricchi di storia, che ancor oggi esprimono l’armonica compostezza architettonica di mura, porte e campanili, almeno due. Paesi uguali e diversi. Uguali per il ripetuto canone fisionomico, adagiati sulle dorsali, con le case, le chiese e le torri che fuoriescono dalle fiancate murate. Diversi per l’origine, per il modo di intendere l’esistenza, per la specificità dei mestieri e perfino nel passa parola della parlata da contrada a contrada. In sintesi, questo territorio è un “distillato“, per dirla con Piovene, della regione, una regione al plurale, che a sua volta è un “distillato” d’Italia.

Un fluttuare di colline che “sente” il mare ad est e a ovest il massiccio del Catria. Il monte riversa sulla piana gli odori del bosco, portati dal vento di libeccio. La gente possiede il dono della saggezza, sintesi storica di sedimenti etruschi, umbri, galli e romani, ma anche il passo, pensato e paziente, ereditato dai monaci di Fonte Avellana che presidiano la porta a ovest del comprensorio.

A scansare le inquietudini su questa amabile terra i nomi gentili che formano una unitarietà poetica: Bellisio, Miralbello, Belvedere, Mondavio, Vergineto, Serrungarina (il Metauro s’imparenta con il Danubio), Castelgagliardo, Fratterosa (dalle opalescenti terrecotte), Cartoceto di Pergola, “a cavallo” fra i due fiumi e precario sepolcro dei bronzi, interrati verso il 30 a.C. per “damnatio memoriae” nei confronti di Nerone Cesare, Druso, Agrippina e altri. Là dove il Cinisco finisce nel Cesano, gli Eugubini comprano, nel 1230, una pergola che “produce oltre 1000 somme d’uva”, come vanterà l’ultimo duca di Urbino. Ecco Pergola, luogo di incontri e d’incanti, di mercati e di amori.

Più a monte, Frontone esibisce il ferrigno arnese di difesa dell’anno 1000, passato poi ai Montefeltro, signori di ogni contrada. Per Giovanni della Rovere venne piantata, da Francesco di Giorgio Martini, una rivoluzionaria rocca sventa-bombarde, sulla collina di Mondavio, dove ancora si intrecciano echi francescani. A specchio delle sinuose anse metaurensi il “vicus” umbro-gallico, divenuto Fossombrone, deve il nome al più giovane dei Gracchi, Caio Sempronio. Città di ampi respiri, culturali e commerciali, fino alla devastante invasione dei Longobardi che generò la diaspora dei forsempronesi sulle docili colline della riva destra del fiume, ha conosciuto molti secoli dopo, con i Montefeltro, i Malatesta e i Della Rovere, tempi di relativa prosperità.

Motivi di obiettività storica, che amalgamano la gente del territorio nel lento volgere dei secoli, sono da ricercare nell’insistenza di civiltà ben definite e radicate come quella gallica, su cui si è innestata la civiltà dei romani, con larghi influssi etruschi, piceni e umbri. I galli vi si stabilirono al termine della loro espansione verso sud. I romani vi fecero il punto di partenza per la conquista della pianura padana, provata la valenza strategica del territorio. In giro sopravvivono certi termini Cartaginesi, superstiti reperti linguistici lasciati dall’esercito di Asdrubale, dopo la disfatta sul Metauro ad opera dei romani, irrobustiti dai galli residenti. I vari Cartoceto non derivano da quel “ceto cartaginese” disperso dopo la battaglia, composto oltre che da soldati, da artigiani, contadini, uomini e donne?

Duplice dunque il motivo omogeneizzante questa geografia antropica: la matrice gallica, cui subentra quella romana con due capisaldi, Suasa e Fossombrone, e più oltre l’aquila feltresca. L’emblema è la testa dorata rinvenuta a Cartoceto di Pergola, al tempo territorio forsempronese, nella giurisdizione suasana in seguito. Perché la storia è un capriccioso rotolarsi di giorni manovrati dalla insidiosa natura del potere.

Ordito e trama. Tra il Cesano e il Metauro c’è una traccia profonda del passaggio dell’uomo, una traccia di civiltà che appartiene a tutti. Si tratta di togliere sovrastrutture e polvere e portare alla luce i tesori di questa terra. E’ quello che cerchiamo di fare.

Massimiliano Montesi (da un testo di Terenzio Montesi per il GAL Flaminia – Cesano)



Massimiliano Montesi
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